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This edited collection offers a reassessment of the complicated legacy of Emer de Vattel’s Droit des gens, first published in 1758. One of the most influential books in the history of international law and a major reference point in the fields of international relations theory and political thought, this book played a role in the transformation of diplomatic practice in the eighteenth and nineteenth century. But how did Vattel’s legacy take shape? The volume argues that the enduring relevance of Vattel’s Droit des gens cannot be explained in terms of doctrines and academic disciplines that formed in the late nineteenth and twentieth centuries. Instead, the chapters show how the complex...
The open access publication of this book was financially supported by the Swiss National Science Foundation. This volume sheds new light on modern theories of natural law through the lens of the fragmented political contexts of Italy in the eighteenth and nineteenth centuries, and the dramatic changes of the times. From the age of reforms, through revolution and the ‘Risorgimento’, the unification movement which ended with the creation of the unified Kingdom of Italy in 1861, we see a move from natural law and the law of nations to international law, whose teaching was introduced in Italian universities of the newly created Kingdom. The essays collected here show that natural law was not...
Due uomini, tante storie e un obiettivo: trasformare una passione - quella per la propria città, Formia, e la sua storia - in un progetto di condivisione della bellezza che sopravviva allo scorrere del tempo e ai dolori che porta con sè.
Una raccolta di saggi per tracciare un itinerario ideale nella storia del libertinismo italiano, da Paolo Sarpi a Gregorio Leti. Venezia rappresenta il centro di questa tradizione, scettica e irriverente, che investe in una polemica incessante i costumi conformistici degli italiani, le aspirazioni politiche del papato, il dominio esercitato dagli spagnoli attraverso le massime della Ragion di Stato. Le vicende di questi scrittori, spesso avventurose, sono poste in relazione con quelle degli esprits forts d’oltralpe che scrivono di politica all’ombra del cardinale Richelieu. Nel loro rapporto ambivalente con il potere, i libertini sperimentano una continua tensione tra necessità del segreto e volontà di disinganno, prudente ricorso alla dissimulazione e consapevolezza della nascita dell’opinione pubblica. Le filosofie libertine, infine, offrono una riflessione realistica e disincantata sui limiti dell’agire politico e sulle cause occasionali e fortuite che ne sono alla radice.
Il volume, che raccoglie gli atti di un seminario svoltosi nel mese di ottobre del 2022 presso il DSU dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, si propone di offrire un contributo su un tema essenziale della ricerca storico-intellettuale alle origini dell’età moderna, ossia i rapporti fra profezia e politica. Dal saggio sulla figura del profeta nel pensiero di Max Weber, che assume il ruolo di una ouverture metodologica, e da Savonarola a Machiavelli a Guicciardini a Bodin ai libertini a Campanella, viene presentata una serie di contributi su autori, che in modo profondo e peculiare avevano affrontato le relazioni fra la profezia e la politica in epoca di grandi rivolgimenti e innovazioni.
In Giacomo Leopardi poesia e filosofia convergono verso una visione tragica, intrisa di corporeità, di natura e del posto occupato in essa dagli uomini e dagli altri viventi. Il libro segue alcuni percorsi privilegiati della corporeità in Leopardi, nel rapporto tra corpo sano e corpo malato, nella dinamica della malinconia e delle illusioni, nella descrizione del “corpo delle nazioni”, nella messa in gioco del rapporto tra corporeità e orizzonte cosmico. La tensione tra bisogno di conoscenza e ricerca della felicità si apre all’illusione dell’infinito che scuote la corporeità umana dinanzi all’immensità della natura. Vengono trattati aspetti centrali del pensiero leopardiano desunti dall’intera produzione poetica, letteraria e filosofica di Leopardi: il rapporto con il (proprio) corpo, la riflessione sull’infinito e sull’indefinito, i nessi tra malinconia, conoscenza e rimembranza, le dinamiche del sogno e dell’immaginazione, il tema religioso, la lettura disincantata delle vicende moderne delle nazioni, il suo rapporto con Vico e il vichismo, la presenza della Luna, la visione cosmica e il viaggio sublime di Dedalo nei Paralipomeni.
Questo libro si sottrae alla doppia, opposta tentazione di enfatizzare o di demolire il pensiero di Marcuse. Ne tenta invece una lettura unitaria come sforzo continuo di sviluppo e aggiornamento di un’antropologia filosofica incentrata sul concetto di lavoro, elaborata da Marcuse già negli anni Trenta sulla base della coppia antitetica delle nozioni heideggeriane di autenticità e inautenticità. Tali modalità continuano ad operare fin dentro la fase più matura del pensiero di Marcuse per definire la condizione dell’esistenza umana nell’alienazione capitalistica e nella liberazione: ne scaturisce un quadro analitico di estrema attualità, soprattutto in condizioni storiche in cui la critica dell’economia politica fa fatica ad essere applicata ai nuovi contesti e a farsi promotrice di prospettive di liberazione.
Il volume esplora una costellazione di temi che ruotano intorno alla ricognizione dello statuto della vita interiore e, dunque, alle questioni della soggettività, del “patico”, del tempo, della colpa, della storicità dell’esistere, a partire dall’orizzonte filosofico del nostro tempo: da Heidegger a Jaspers, a Camus, a Kierkegaard, a Piovani, a Masullo, ad altri ancora. Centrale è il rapporto tra solitudine ed esistenza e, ugualmente, l’approfondimento della dialettica tra comunità e isolamento, tra intimità e relazionalità, tra solitudine e collettività. Non manca una riflessione sulla letteratura e sulle arti. L’idea che la solitudine sia una metafora della incomunicabilità, dell’impossibilità di raggiungere l’altro appare una costante nella letteratura del nostro tempo. La chiave di volta del volume è che la solitudine sia una delle disposizioni cooriginarie e costitutive dell’esistenza – una Stimmung suggestivamente evocata dai poeti, oltre che lungamente esplorata dal pensiero filosofico.
Siamo soliti intendere il rapporto tra esperienza ed esperimento come un prodotto della prima Modernità, come il risultato dell’imporsi del metodo scientifico galileiano e quindi come espressione di un’opposizione: tra soggettivo e oggettivo, qualitativo e quantitativo, interno ed esterno, psiche e natura. E non mancano di certo buone e abbondanti ragioni per dare quest’idea quasi per scontata. Scopo del volume è sottoporre a critica una tale convinzione, attraverso due mosse in qualche modo simmetriche: tornare indietro agli albori del Medioevo, ai commentari duecenteschi di Aristotele e a Ruggero Bacone e andare molto avanti, alla più recente contemporaneità, laddove la questione finisce per riguardare il medesimo statuto della filosofia. Lungo il percorso, e per ogni tappa, la relazione tra esperienza ed esperimento si arricchisce e modifica, trovando inediti punti di ricaduta nella scienza pre-moderna, nella teoria della musica e nel decisivo confronto tra fenomenologia e filosofia analitica.