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Contents: Luca Vanzago, Introduction • Ted Toadvine, Tempo naturale e natura immemoriale • Luca Vanzago, The Problem of Nature between Philosophy and Science. Merleau-Ponty’s Phenomenological Ontology and its Epistemological Implications • Roberta Lanfredini, Essenza e Natura: Husserl e Merleau-Ponty sulla fondazione dell’essere vivente • Christopher Pollard, Merleau-Ponty and Embodied Cognitive Science • Gianluca De Fazio, L’Essere pre-logico. Una lettura ontologica dell’interpretazione di Copenhagen a partire da Merleau-Ponty • Danilo Manca, La scienza allo stato nascente. Merleau-Ponty e Sellars sull’immagine scientifica della natura • Darian Meacham, Sense and Life: Merleau-Ponty’s Philosophy of Nature and Evolutionary Biology • Franck Robert, Merleau-Ponty, Whitehead, une pensée de la vie • Claus Halberg, Emergent Life: Addressing the “Ontological-Diplopia” of the 21st Century with Merleau-Ponty and Deacon • Prisca Amoroso, Prospettive ecologiche nell’opera di Merleau-Ponty
Quando una disciplina inizia a guardarsi indietro per redigere la propria storia, certamente èin crisi. Non èil caso della semiotica oggi in Italia, dove anzi ci si trova in un momento di forte crescita, sia dal punto di vista degli andamenti della ricerca sia da quello accademico e culturale. Fatte salve le resistenze (corporative? ideologiche? politiche?) allo sviluppo del paradigma di studi sui testi e i modelli socio-culturali, la semiotica italiana vive un’euforica crescita intellettuale: ha ribadito i propri programmi d’azione e di passione, s’èdotata degli adeguati strumenti di indagine, ha superato prove e controprove, ha raggiunto parecchi risultati: e sta ricevendo i dovut...
“Un semiotico a cui per ipotesi fosse vietato di operare scientifica- mente, magari per l’arrivo di alieni complottisti cui la scienza fosse del tutto invisa, sarebbe costretto, volendo nondimeno dar seguito ai propri uffici, a fare lo sciamano. A ruoli invertiti, uno sciamano cui sempre per ipotesi fosse vietato di operare animisticamente, magari per l’arrivo di alieni scientisti cui l’animismo sembrasse una cieca follia, sarebbe costretto, volendo nondimeno dar seguito ai propri uffici, a fare il semiotico.” Nel proporre questo chiasmo controfattuale, Edoardo Lucatti prova a liberare una serie di risonanze epistemologiche fra la razionalità della semiotica di Greimas, consegnata dal semiotico lituano alla famosa introduzione di Del senso (1970), e il prospettivismo amerindio che l’antropologo brasiliano Eduardo Viveiros de Castro affronta nelle Metafisiche cannibali (2009), con il duplice obiettivo di inquadrare diversamente l’irrisolta questione dello statuto scientifico della semiotica e di capire quale possa essere - ancora oggi - il ruolo e la ragion d’essere di una scienza della significazione.
Questo volume ruota attorno alla questione ecologica: una questione complessa, fondata su esigenze reali ma cavalcata da enormi interessi economici e finanziari che spingono verso la transizione green. Il tentativo è quello di restituirne i temi centrali del dibattito politico e scientifico, per tracciare una strada che rappresenti una “terza via” tra il negazionismo e l’affarismo green, e arrivare a un ambientalismo autentico, che non sia fonte di arricchimento per le élites e di ulteriore impoverimento per le esigenze delle classi medie e popolari.
Il tema dell’impersonale costituisce il fulcro di un dibattito odierno forse sfuggente ma variamente presente in assi tematiche e ambiti di ricerca assai differenti. Si tratta, molto in generale, di un tentativo di rimettere in discussione la nozione di soggettività, antropologicamente circoscritta, per giungere a teorizzare una sorta di spazio impersonale, capace di fondare e articolare le linee dell’intero piano della realtà concretamente esperibile.
La questione ecologica è ormai entrata con forza tra i problemi più urgenti che i decisori politici sono chiamati ad affrontare. Rispetto a qualche decennio fa, quando il pensiero ecologico era appannaggio di climatologi e di naturalisti, di intellettuali e di movimenti minoritari, oggi si può riscontrare una più ampia e diffusa attenzione per l’attuale condizione di degrado del pianeta. Qualsiasi progetto d’intervento volto a limitare l’impatto delle attività umane sulla Terra, richiede però una profonda revisione della relazione che l’uomo intrattiene da secoli con essa, fondata sullo sfruttamento economico massiccio delle risorse naturali e sulla modificazione irreversibile e distruttiva degli ecosistemi, a cui è sottesa un’ideologia del dominio tecnico profondamente iscritta nella cultura occidentale. Ecco perché l’urgenza dei problemi attuali chiama in causa la filosofia come disciplina critica, in grado di mettere a fuoco i limiti di quell’ideologia e di quel modello di sviluppo, offrendo delle ipotesi per una trasformazione radicale del rapporto uomo-natura.
[Italiano]: Se “ritornare alle cose stesse” è il motto della fenomenologia, in questo volume ci si propone, a più di 75 anni di distanza dalla svolta operata da Maurice Merleau-Ponty nel suo Fenomenologia della percezione, di ritornare alla percezione. Per la prima volta, in quel testo, la fenomenologia scopriva la percezione, che è in primo luogo percezione corporea. Da allora la filosofia non ha smesso di interrogarne il significato, non solo nei vari domini filosofici (nella teoria della conoscenza, nell’estetica e persino nella morale), ma anche, e sempre di più, in un’ottica multidisciplinare che lega il problema della percezione a questioni antropologiche e di geografia uma...
La nozione di ambiente non è una nozione recente: compare oggi in maniera sempre più diffusa nei dibattiti, negli spazi di divulgazione e molto spesso entra all’interno degli spazi affettivi individuali. L’ambiente entra nel campo dei valori come elemento fragile, indissociabile dall’azione antropica, attraverso la nozione di “crisi ambientale”. È proprio a partire dal nostro presente, in cui il cambiamento climatico e i suoi effetti sono ormai parte della nostra quotidianità, che è possibile rintracciare figure che, a partire dal ’700, hanno descritto l’inerenza degli enti con il loro ambiente e, tra questi, dell’uomo con il suo ambiente di vita. Due figure concettuali sono centrali: la figura della relazione di esposizione, tramite la quale si possono pensare forme di soggettività vulnerabili, esposte alle relazioni e ai concatenamenti nei quali sono inserite, e la figura dell’interfaccia, intesa come ciò che demarca un rapporto di inerenza e di separazione tra un interno e un esterno, rapporto allo stesso tempo necessario e contingente: figure che ancora oggi utilizziamo in molti contesti per pensare al rapporto con l’ambiente mediato dalla tecnica.
La riflessione di Heidegger sulla libertà ha ricevuto un’attenzione relativamente modesta, lontana in ogni caso da ricostruzioni sistematiche o analisi approfondite del tema. La presente ricerca intende riaprire il dossier e rimettere mano al problema. Heidegger, in effetti, si è impegnato in un intenso confronto con la questione della libertà, nel periodo che va dal 1927 al 1936, elaborandone tre fondamentali modelli teorici. Essi implicano una radicale trasformazione della tradizionale concezione dell’etica, ma sottopongono a una profonda revisione anche le abituali concezioni della decisione, della scelta, dell’atto con cui l’uomo si autodetermina nella sua esperienza. Il quadro dell’analisi viene ampliato esplorando ciò che sta al di là del periodo preso in esame, cercando di far luce in senso retrospettivo sulla genesi della questione della libertà negli anni precedenti al 1927 e poi, guardando in avanti, sugli sviluppi della questione dopo il 1936, nella fase successiva alla svolta.
La storia della filosofia come disciplina separata e operante iuxta propria principia sorge sia da una progressiva divisione degli ambiti del sapere, sia come risultato di un processo di maturazione etica e storica. Secondo Hegel, essa non si giustifica soltanto in chiave sistematica, bensì preliminarmente in prospettiva storica e fenomenologica. Storia della filosofia e filosofia della storia sono due frutti del nuovo mondo che ha prodotto – e giustificato – la cognizione della propria genesi. La storia della filosofia affonda le sue radici nella critica del Seicento e nell’Aufklärung, motori della mentalità moderna ben radicati nell’Umanesimo e nella Riforma, ma dell’uno e dell’altra rivoluzionari interpreti. Dar evidenza di tale processo è lo scopo di questa ricerca che prende in esame i prodromi europei (dovuti per lo più a Thomas Stanley, Gerhard Johannes Voss, Pierre-Daniel Huet), per poi volgersi ad autori tedeschi come Christoph August Heumann, Johann Franz Budde, Johann Jakob Brucker, Christian Garve e molti altri più e meno noti.