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Considerati a giusto titolo come una delle eredità più importanti del Medioevo, i castelli sono sempre più spesso oggetto di indagini che, condotte da studiosi appartenenti a vari ambiti disciplinari, beneficiano del fondamentale apporto dell’archeologia medievale. Un caso esemplare in tal senso è costituito dal castello di Carbonana, che, analizzato dal punto di vista materiale, documentario e storico-artistico, si è rivelato un sorprendente luogo di incontro tra macrostoria e microstoria. Recentemente restaurato, e dunque ancor meglio visibile percorrendo la strada di fondovalle che da secoli collega Gubbio a Umbertide, il castrum Carbonane figurava già nel 1192 nel privilegio con cui Celestino III confermava al vescovo Bentivoglio il possesso di alcuni siti incastellati collocati a presidio del territorio eugubino. Con il venire meno della signoria vescovile, ad avvicendarsi furono due importanti lignaggi cittadini: i Gabrielli del ramo di Frontone e i Porcelli, di origine fiorentina. E furono proprio questi ultimi a legare indissolubilmente l’onomastica familiare al castello che ne aveva consacrato l’ascesa sociale, divenendo così, nei secoli, i conti di Carbonana.
Nella società di antico regime famiglia, parentado e lignaggio erano punti di riferimento obbligati di comunità che, di fronte all’instabilità delle istituzioni, organizzavano intorno ad essi le proprie regole di vita. Dall’età delle Crociate e del Comune prendono avvio le prime forme cognominali e tra quell’epoca e il Cinquecento incontriamo la decisiva ridefinizione dell’istituzione familiare come specchio dell’immagine del potere genovese. È il cognome, dunque, il vero “blasone” della storia genovese che pur avendo fatto precocemente del denaro una chiave di volta della sua storia, ha serbato fede a una fiera arcaicità di modelli, mantenendo anche legata alla famiglia l’organizzazione istituzionale.
In her manuscript Elisa Ravasi examines how the ECtHR responds to the growing challenges of overlapping legal systems. She focuses, in particular, on the relationship between the ECHR and EU law. First, she systematically analyses 10 years of ECtHR jurisprudence on the principle of equivalent protection and develops an innovative analysis scheme for its application. Afterwards, she examines the equivalency of the human rights protection provided by the ECJ in light of the minimum standards of the ECHR in three specific fields (naming law, ne bis in idem and equality of arms). Finally, she considers whether the presumption of equivalent protection of the ECtHR in favour of the EU is still justified.
This book provides a comprehensive and updated legal analysis of the equality principle in EU law. To this end, it argues for a broad definition of the principle, which includes not only its inter-individual dimension, but also the equality of the Member States before the EU Treaties. The book presents a collection of high-quality academic and expert contributions, which, in light of the most recent developments in implementing the post-Lisbon legal framework, reflect the current interpretation of the equality principle, examining its performance in practice with a view to suggesting possible solutions in order to overcome recurring problems. To this end the volume is divided into three Parts, the first of which addresses a peculiar aspect of the EU equality that is mostly overlooked in the investigations devoted to this topic, namely, equality among States. Part II shifts to the inter-individual dimension of equality and explores some major developments contributing to (re)shaping the global framework of EU anti-discrimination law, while Part III undertakes a more practical investigation devoted to the substantive strands of that area of EU law.