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To place animals within the realm of nature, means inserting them among the articulations of culture and the social. Semiotics has never avoided this chiasmus, choosing to deal from the outset with the problem of the languages of animals following the old admonition of Montaigne: it is not that animals do not talk, it is us who do not understand them. Recent research in the field of the anthropology of nature and sociology of sciences and techniques allow to think about the Zoosemiotic issue in a different way. Instead of transplanting the language structures – gestures, LIS, etc. – for a semiotic study of the forms of the human and social meaning, it seems more apt to look at their disc...
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Il nostro presente ci espone a un’inflazione di simboli dal valore e dalla forza differenti: la bandiera europea e Charlie Brown, la croce e il pane, i Beatles e Chanel, Mike Bongiorno e Maradona, il Che e la regina Elisabetta, la Gioconda e il Guggenheim, i Lego e la Coca-Cola, ma anche Arco, QAnon, la conchiglia di San Giacomo, Falcone e Borsellino e il genocidio. Non ci sono limiti a cosa possa diventare simbolo né tantomeno a cosa possa smettere di esserlo, al punto che occorre rinunciare a chiedersi cosa sia simbolo per focalizzarsi invece su quando esso si dia. Questo libro affronta tale questione partendo dai simboli che riconosciamo e utilizziamo, che abbiamo creato e distrutto, intorno ai quali costruiamo consensi e dissensi, che riteniamo eterni o che invece ci appaiono effimeri. Prodotti culturali di varia natura dei quali si può dire solo una cosa con certezza: non sono come gli altri.
I re non possono godere del piacere di toccare una porta, o almeno questo era quanto sosteneva Francis Ponge; ma per tutti gli altri umani l’apertura di una porta può offrire un sottile godimento o un repentino brivido lungo la schiena. In un modo o nell’altro, questo peculiare oggetto tecnico agisce profondamente negli spazi in cui viviamo, consentendo il loro uso o negandovi l’accesso. Tali dispositivi sono stati pensati, in fondo, come strumenti di controllo fisico e sociale che agiscono sullo spazio dei luoghi che tutti noi abitiamo. La porta è una compagna, una complice taciturna che, attraverso la sua presenza e la sua azione in un determinato ambiente, consente il dispiegarsi di una serie di performance. Alleate silenziose – o nemiche ineffabili – della vita quotidiana, come gran parte delle cose con le quali ci relazioniamo, le porte tendono a sparire dalla nostra vista, a rendersi invisibili pur avendo una presenza fisica non indifferente; eppure, attraversiamo queste macchine spaziali decine di volte in una giornata, senza neanche prestare attenzione alla loro azione divenuta ormai scontata.
Alle fondamenta dell’”insolita forma di antropologia filosofica” elaborata da Bruno Latour si ritrova una prospettiva costante di indagine segnata dal confronto acceso tra scienze umane e sociali e dalla capacità di impiegare con rigore e lucida determinazione nozioni e prospettive che il senso comune considererebbe inconciliabili. Nell’avventura scientifica di uno dei maggiori intellettuali della nostra epoca, la semiotica ha giocato un ruolo decisivo che, tuttavia, ancora oggi appare poco riconosciuto, in primo luogo nell’ambito delle stesse scienze sociali. Una sorta di rimozione, tanto più sospetta se si considerano le diverse occasioni in cui Latour ha riconosciuto l’impor...
Quando una disciplina inizia a guardarsi indietro per redigere la propria storia, certamente èin crisi. Non èil caso della semiotica oggi in Italia, dove anzi ci si trova in un momento di forte crescita, sia dal punto di vista degli andamenti della ricerca sia da quello accademico e culturale. Fatte salve le resistenze (corporative? ideologiche? politiche?) allo sviluppo del paradigma di studi sui testi e i modelli socio-culturali, la semiotica italiana vive un’euforica crescita intellettuale: ha ribadito i propri programmi d’azione e di passione, s’èdotata degli adeguati strumenti di indagine, ha superato prove e controprove, ha raggiunto parecchi risultati: e sta ricevendo i dovut...
I linguaggi, verbovisivi, audiovisivi, intermediali, sono sempre più frammisti all’esperienza, sempre più capaci di fare cose e farle fare. Non rispecchiano una realtà e un’umanità a monte, ma agiscono plasmandole e soprattutto trasformandole, con effetti imprevisti individuali e sociali: nei tatuaggi occidentali la personalità emerge sulla pelle della persona; l’infoguerra normalizza il tempo del conflitto e l’uso delle armi; l’etica si ritrova allegorizzata nel sistema della gastronomia; l’intelligenza artificiale risulta avere doti creative pericolosamente competitive. Serve un approccio che non liquidi i fenomeni nell’anything goes né si limiti a constatare l’efficacia dei linguaggi. Questo libro valorizza il pensiero per differenze della semiotica come metodo che aiuta a distinguere i modi in cui mutiamo: cognitivi, pragmatici, sensoriali e passionali. Logica strutturalista, enunciazione, intersoggettività sono le chiavi per indagare il senso degli avvenimenti, certi che anche i momenti di estasi e meraviglia che il mondo offre ci segnano solo nella loro comprensione.
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