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Linking Models and Experiments, Volume 2. Proceedings of the 29th IMAC, A Conference and Exposition on Structural Dynamics, 2011, the second volume of six from the Conference, brings together 33 contributions to this important area of research and engineering. The collection presents early findings and case studies on fundamental and applied aspects of Structural Dynamics, including papers on Finite Element Techniques, Model Updating, Experimental Dynamics Substructuring, Model Validation, and Uncertainty Quantification.
Jan è un bambino come tanti, che va a scuola negli anni Ottanta. La sua prima bicicletta, il primo amore, i teppisti ai cancelli della scuola, i primi episodi di Guerre Stellari e la TV a colori. L’unica cosa che lo distingue dagli altri bambini è una straordinaria immaginazione. Viene chiamato a prestare il servizio militare poco prima della disgregazione della Jugoslavia, in un momento in cui tutto diventa fragile e le certezze diventano meno salde. Quando il Paese crolla, crolla anche la porta della sua cameretta, il luogo dell’infanzia e della fantasia. Il giorno in cui finì l’estate è un romanzo di formazione ed è probabilmente il primo romanzo sloveno che, attraverso una narrazione personale, descrive il periodo in cui la Slovenia era in procinto di ottenere l’indipendenza.
Un racconto che mescola autobiografia, storia, testimonianze in un flusso che porta il lettore, anche quello non appassionato di sport, dentro un territorio che sborda, che tocca la politica, la società, l’Europa. È la narrazione della pallacanestro jugoslava (ed ex-jugoslava), vista con gli occhi di chi l’ha conosciuta e vissuta da vicino, seguendola per passione e per professione per oltre cinquant’anni. È la vicenda della Jugoslavia, delle sue genti, dei suoi popoli e delle loro peculiarità. Una storia raccontata per aneddoti ed episodi, senza nessun intento storiografico, in cui i fatti, compresi quelli legati alla dissoluzione, emergono talvolta dallo sfondo nello stesso modo in cui emersero nella vita degli (ex) jugoslavi. Infine, è anche quella personale dell’autore, che non vuole farsi sentire a tutti i costi urlando per mania di protagonismo, ma che semplicemente ci mostra i fatti così come li ha raccontati, fra emozioni, disavventure e ricordi. Prefazione di Gigi Riva.
Per comprendere Praga bisogna percorrerla di giorno e di notte - forse più di notte che di giorno - senza fretta; camminare sotto i suoi portici e investigare tra le pietre dei lastricati delle sue strade dove è possibile ritrovare in una fessura una moneta perduta tanto tempo prima. Paolo Ganz lo sa e, armato di penna e taccuino, ce la racconta, in equilibrio sulla fune tesa tra passato e presente. Personaggi, luoghi e incontri compongono un affresco pronto a raccontare la magia della città sulla Moldava; perché Praga è forse il luogo in cui ci si può ritrovare e dove incontrare il nostro doppio, colui che non siamo mai stati o che non abbiamo mai avuto il coraggio di diventare. "Praga «paesaggio letterario», come la definì Claudio Magris, continua a esistere nel sogno proprio come l'avevano descritta le penne di Neruda, Hasek, Kafka o Hrabal; limpida più nel ricordo che nella reale sostanza, che raramente si discosta dalla bella città che rimane".
«I libri di Drakulic sono affilati come lame, urticanti alla lettura, angosciosi talvolta, distillati di dolore: uno stimolo a una più consapevole costruzione di sé.» (Melania Mazzucco, La Repubblica) Mileva Maric nacque in Serbia nel 1875 da una famiglia benestante. Completò a pieni voti gli studi superiori, prima donna ammessa al ginnasio reale di Zagabria. Nel 1894 entrò al Politecnico di Zurigo, ancora una volta unica donna della sua classe. È qui che incontrò Albert Einstein, più giovane di lei di 4 anni, di cui divenne moglie e da cui ebbe tre figli. Facendo riferimento a elementi biografici, Slavenka Drakulic scrive un romanzo sulle circostanze che hanno portato questa donna dal talento straordinario e dal grande fascino, a rinunciare a se stessa.
Ci sono cresciuta, a Roma, in tempi in cui la giovinezza significava vivere il centro storico, scoprire piazza dei Cavalieri di Malta disegnata da Piranesi, prendere il sole ai tavolini del bar vicino al Pantheon, mangiare carbonara in misteriose trattorie che spuntavano sotto archi seicenteschi. Ci sono diventata madre, a Roma, guardando il fiume dall’Isola Tiberina, e poi imparando a mie spese cosa significasse salire su un autobus con un passeggino. E poi, più avanti, cosa significasse accompagnare i bambini a scuola nella follia delle otto di mattina. Invece di provare a narrarla, posso dire che sono cresciuta e vivo oggi nella Roma pasoliniana. Da ragazza e da signora matura nella Roma di Ragazzi di vita, tra Ponte Mammolo e Pietralata, e da giovane donna nella Centocelle di Accattone. Ma quella Roma era già diversa quando ero ragazza ed è diversissima oggi. Come molte altre città, ma in un certo senso qui si coglie meglio il cambiamento. E in questo libro provo a raccontarlo.
Una famiglia decide di lasciare la Bosnia prima dello scoppio della guerra. il loro viaggio li porterà in un campo profughi in Friuli Venezia Giulia e da lì a vivere in un appartamento a Udine. Il padre è un nostalgico marxista, la madre una donna fragile e forte allo stesso tempo, il figlio un uomo che ha deciso di girare il mondo con il solo scopo di fare soldi. La figlia, Valentina, è la voce narrante che da Bologna torna dapprima a Udine dalla madre, per poi trasferirsi a San Diego, in California. Un libro fatto di relazioni familiari, dialoghi serrati che raccontano un universo altro, il rapporto con la lingua madre e con la terra di origine, l’accoglienza e l’integrazione in un mondo nuovo, inaspettato e sorprendente.
C’è un confine che taglia in due una terra, due lingue che si mescolano, 150 anni di storia che passa sulle teste e nei cuori delle persone di un piccolo borgo sul confine, su un Carso aspro e duro, fatto di pietra e muretti a secco, che diventa con il passare degli eventi metafora di ospitalità e convivenza. C’è la storia d’amore di Avguštin e Gabriella che è un’unione di chi resiste, nonostante dagli anni Novanta in poi le vere osterie di paese chiudano una dopo l’altra. Come marito e moglie, oste e cuoca, riescono a intrecciare nazionalità spesso contrapposte in una terra ai margini, tra Italia e Slovenia. I Devetak custodiscono gli aromi e l’accoglienza del passato, diventando un richiamo per molti tra cui i Presidenti di Italia e Slovenia che, nel 2016, hanno celebrato proprio lì il pranzo della riconciliazione. La vicenda della famiglia Devetak si inserisce nella resistenza sentimentale di un popolo che è tornato dopo l’esilio forzato della prima guerra, che ricostruisce le proprie case rase al suolo, che si adopera andando oltre il fascismo, le tragedie della seconda guerra, il razzismo e le crisi del nostro tempo.