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Sempre più spesso meta preferita dai turisti nella stagione estiva, i Balcani occidentali restano oggi uno spazio europeo per molti versi sconosciuto. I più ne ricordano le tragedie delle guerre degli anni Novanta, ma nei trent’anni ormai trascorsi dal loro scoppio nel 1991 poche volte questi paesi sono balzati nuovamente agli onori delle cronache. Gli autori di questo volume (ricercatori e giornalisti che da anni si occupano della penisola balcanica) provano dunque a tracciare una panoramica ricca e aggiornata delle caratteristiche e dei fenomeni (economia, ambiente, rotta balcanica, identità, memoria storica, cultura, gastronomia) che hanno caratterizzato (e continuano a farlo) Slovenia, Croazia, Bosnia ed Erzegovina, Serbia, Montenegro, Kosovo, Macedonia del Nord e Albania a partire dal 1995, l’anno in cui gli accordi di Dayton posero fine al conflitto di disgregazione della Repubblica socialista federale di Jugoslavia. Postfazione di Marina Lalovic.
This volume offers a detailed analysis of selected cases in the reception, translation and artistic reinterpretation of Italo Calvino's Invisible Cities (1972) around the world. The book traces the many different ways in which Calvino's modern classic has been read, translated and adapted in Brazil, France, the Netherlands and Flanders, Mexico, Romania, Scandinavia, the USSR, China, Poland, Japan and Australia. It also offers analyses of the relation between Calvino's book and, respectively, the East and Africa, as well as reflections on the book's inspiration for, and resonance in, dance, architecture and art. The volume thus traces the diversity in the reception and circulation of Invisible Cities in different countries and continents, offering a much wider framework for the discussion of Calvino’s masterpiece than before, and a more detailed picture of its cultural and linguistic ramifications. This book will be of interest to scholars in Comparative Literature, World Literature, Translation Studies, Italian Studies, Romance Languages, European Studies, Dance, Architecture and Media Studies, as well as to scholars specialised in paratext and reception.
Il Lido, Murano, San Giorgio, Sant’Erasmo... Isabella Panfido racconta dodici isole della laguna veneziana e per ognuna di esse offre una mappa originale e poetica. Il suo andar per isole tende metaforicamente a un punto focale che è Venezia, la metropoli d’acqua, che dà un senso profondo a questo mirabile viaggio, e che l’autrice celebra a suo modo, sempre con amore. Quest’opera non può che ricordare i Microcosmi di Claudio Magris per la capacità di intrecciare il dato storico a quello poetico, di far convivere citazioni da cronache e documenti e leggende popolari, per la felicità d’ispirazione e per la struttura fatta di capitoli-luoghi. Una dichiarazione d’amore alle isole e alle acque “sacre, inviolabili” della laguna. Lagunario ha avuto 3 edizioni con il marchio Santi Quaranta, è stato tradotto e pubblicato in Inghilterra e ha inoltre vinto il Premio Gambrinus Mazzotti, il Premio La Voce dei Lettori e il Premio Latisana per il Nord-Est.
Jugobasket nasce da anni di viaggi e incontri con le leggende della pallacanestro jugoslava. Le voci dei protagonisti che hanno scritto un pezzo di storia dello sport europeo e mondiale sono il cuore del libro. Da Boša Tanjević a Praja Dalipagić, da Žele Obradović a Toni Kukoč, Saša Danilović e molti altri, si dipana una narrazione che ha inizio con la ricostruzione del paese dopo la Seconda guerra mondiale e che termina con la dissoluzione dell’utopia politica e sociale voluta dal maresciallo Tito. Attraverso un periodo di quarant’anni i giocatori jugoslavi passano dall’essere semiprofessionisti a diventare icone sportive globali, compagni e avversari di autentici miti come Michael Jordan e Magic Johnson.
C'è Pino Capaldi che da ragazzo ha imparato a costruire esche artificiali nientemeno che dal finlandese Lauri Rapala in persona. E c'è Josko, a cui la guerra in Bosnia ha strappato una vita da guardapesca sul fiume Una. E poi c'è Gino, il bibliotecario finché in paese c'è stata la biblioteca, con alle spalle qualche sogno di rivoluzione. Eccoli, sono loro, i coscritti di Riva Cannobbia, classe 1942. Loro che proprio non hanno nessuna intenzione di rassegnarsi a un mondo che li vorrebbe vecchi e fragili, e resistono a dispetto del paese che si spopola e sembra scomparire, perché la montagna non è più quella di un tempo, quella dei pescatori, dei falegnami, dei pastori disposti a passa...
Adulterers, cheats, hypocrites, bad seeds--in My Husband, Rumena Bužarovska turns her wry and razor-sharp gaze on men, and on the lives of the women who suffer them. In these eleven devastatingly precise and psychologically unsettling stories, we follow the female protagonists' thwarted attempts at intimacy, ranging from pretense, to denial, to violent and ultimately self-destructive acts. This smart, funny, provocative collection demonstrates the profound skills that have made Rumena Bužarovska one of the finest contemporary writers of short fiction in Macedonia.
La storia di una parte d’Europa complessa, stratificata, eppure al centro di tutto. Sentimentale perché non è un trattato, ma una narrazione soggettiva, intima, di che cosa sono e che cosa rappresentano i Balcani. Breve perché non vuole essere esaustiva ma regalare al lettore suggestioni, immaginari e passioni. Floramo parte per un viaggio che esplora in profondità le geografie, le anime, la Storia attraversando il confine orientale per addentrarsi nella terra balcanica che sconfina verso gli Urali, segue il Danubio, parla le lingue di Sarajevo. Interroga le fonti più antiche, narra le vicende dei Turchi, dei Veneziani, degli Uscocchi, giunge fino ai giorni nostri dove insegue le utopie, osserva i ponti, piange con le donne di Srebrenica. Come spesso accade nelle storie di Floramo e in quelle che riguardano i Balcani, il lettore si trova a mangiare, ridere, disperarsi, sognare, bere, fumare, danzare. Insomma, vivere.
Angelo Floramo ha la capacità di portare il lettore dentro un nomadismo matto, autoironico, riflessivo che mescola storia, memoria, società, geografia. Un libro in cui la viandanza diventa l'unico modo di approcciarsi alla vita e al prossimo che si incontra lungo la strada. L'osteria diventa metafora della sosta, della lentezza, dell'incrocio con gli altri, e proprio dentro le locande di questo nord est allargato, privo di confini amministrativi, si mescolano lingue, usi, fantasmi. "C'è sempre un'osteria sul ciglio dei nostri sentieri. È lì che si riposano le storie, fra le braci del camino e le travi del soffitto. Vi transita un'umanità colorata, zingara, che conosce la polvere delle strade, il freddo delle brume, il sorriso saporoso del vino. Prima o poi ci finiscono tutti i nostri passi perduti." Nuova edizione ampliata e corretta con un lungo racconto inedito.
Dalla sorgente del fiume Tagliamento, attraversando tutta la Carnia per arrivare al borgo abbandonato di Portis e poi puntare a sud, toccando il ponte di Braulins, Spilimbergo, San Daniele, Latisana fino ad arrivare alla foce, a Lignano. Tre grandi capitoli che ci portano lungo le sponde del fiume più importante del Friuli. E poi si risale sul furgone Molly e insieme ai tre scrittori partiamo dalla Slovenia, dalla sorgente della Soca, giungiamo a Gorizia, passando per Caporetto e Tolmino. E da lì seguiamo l'acqua dell'Isonzo fino all'Isola della Cona sulle tracce della Grande Guerra. Tre uomini su un vecchio furgone Volkswagen del 1980 sostano nelle osterie, parlano con le persone che abitano il fiume, con i fantasmi che non ci vivono più. Un viaggio sentimentale, lentissimo, per raccontare le geografie, la Grande Storia, ma anche per entrare dentro le vite dei protagonisti attraverso un reportage intimo e ironico.
Le storie di Floramo ci conducono per borghi antichi o periferie sterminate, dagli Stati Uniti al Mar Nero, disegnando topografie ribelli quasi sempre macchiate di sugo. Sanno tutte di ebbrezza e di libertà, forse perché il tempo di questo nostro vivere va intriso di vino tanto quanto di ideali. Il lettore è dunque avvisato: qui si beve molto, molto si mangia. Si fuma e si ama. E soprattutto si sogna, senza necessariamente andare a dormire. Di che cosa? Ma di un mondo migliore del nostro, come quello per il quale hanno lottato i protagonisti dei racconti. Alcuni reali, altri inventati. Cos’hanno in comune la periferia di Praga, la Dalmazia in inverno, un birraio di Belfast, o una tabaccheria di Lisbona? Nulla, probabilmente, oltre a quello struggimento che prende sempre il cacciatore di storie, quelle che si impregnano di alcol e di anarchia quando arrivato alla fine di un lungo viaggio non chiede altro che di poterle raccontare a qualcuno. Forse perché è ubriaco, o forse perché innamorato: di una donna, di una bottiglia o di un’utopia, in fondo non fa troppa differenza.