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Un periodo denso di cambiamenti rivoluzionari, un audace progetto di sviluppo economico e sociale, una località idilliaca incastonata tra prati e montagne. Sembrerebbe il preludio a un fortunato sodalizio; invece, le competizioni e gli interessi in gioco faranno emergere la realtà di un paesino di affaristi e intrallazzatori, ostili con gli stranieri e restii ad accettare novità. Lo zoccolo duro del paese si oppone con ogni mezzo alle pretese avanzate dai forestieri, agli occhi dei locali interessati unicamente al profitto e al buon nome delle loro società, a maggior ragione quando la comunità viene sconvolta da un’improvvisa ondata di violenza. Un romanzo storico dalle tinte gialle che racconta di una piccola comunità dentro a una terra di confine. Una storia che indaga i rapporti tra centro e periferia, tra pianura e montagna, tra l’utopia del progresso e il desiderio di difendere un territorio.
Dopo il tentativo fallito di stabilirsi a Berlino, un trentenne originario di una cittadina di provincia trascorre le sue giornate lavorando come receptionist in un hotel di Zagabria, in bilico tra la propria disperazione, un ricco amante e la malattia del padre. È il rapporto tra padre e figlio, da sempre ambivalente e minato dal passato che incombe su di loro, a rappresentare la chiave di volta dell’esistenza del giovane. Senza compromessi, con capitoli brevi e potenti, pieni di emozioni profonde alternate a sesso e morte, paura e gioia, Pešut dimostra di essere una voce originale che interpreta perfettamente il tempo in cui vive e la generazione di chi è nato negli anni Novanta.
Il giovane tenente della marina imperiale russa Pavel Volkov intraprende un viaggio avventuroso che lo porta dal Baltico al Mediterraneo, e da Corfù a Trieste. Siamo nel 1806 e la città diventa il teatro di sorprendenti scoperte e strane conoscenze: un maltese di nome Corto, un pittore di icone, il governatore del Porto Franco, il capitano di una nave corsara. E un amore travolgente. Un salto temporale di un secolo e mezzo ci porta nel cuore dei tumulti della rivoluzione ungherese e dell’intervento sovietico a Budapest: il cerchio si chiude ed emerge il filo che lega tutti gli accadimenti e gli eventi della Storia. Un romanzo d’avventura, diviso in tre libri, che tra naufragi e tradimenti si interroga sul diritto dell’individuo di opporsi al proprio destino e al fato.
Il cuore di questo viaggio è l’incontro con uomini e donne di mare, seguendo le tracce della Serenissima sparse ovunque e con la malinconia che solo l’orizzonte ti può regalare. Ci sono baie solitarie, soste in osterie, marinai di poche parole. E poi ci sono i luoghi: Venezia, gli Arsenali, Parenzo, Pola, il Quarnaro, Lussino, Ragusa, le Bocche di Cattaro, Corfù, posti carichi di storia, di bellezza, di colori e sapori forti. E ancora, i popoli, quelli che evocano immaginari mai sopiti come i morlacchi, i turchi, gli slavi e una terra, quella dei Balcani, appena uscita da una delle grandi tragedie del Novecento. Un reportage da un mare che guarda a Est, ma che a specchio racconta chi siamo stati, la nostra origine, il senso profondo di un’Europa fatta di genti diverse.
Dieci anni di viaggi tra Bulgaria, Romania, Albania ed ex Jugoslavia sulle tracce di vicende e di episodi poco conosciuti che hanno fatto la storia – non solo calcistica – di queste terre. Dal Marakana di Belgrado alle utopie di cemento degli spomenik jugoslavi, dal Maksimir di Zagabria alle sponde del lago di Ocrida, senza generalizzazioni né stereotipi, calandosi fra la gente, entrando nei bar, lungo le strade, sui gradoni di tanti stadi in giro per i Balcani. Un viaggio dall’Adriatico al Mar Nero, lungo il Danubio e la Drina, tra vecchi amici e burberi tifosi, birre e cori, ćevapi e rakija, per provare a decifrare i Balcani attraverso la lente d’ingrandimento del calcio.
Terra troppo affollata d’estate e semideserta nelle altre stagioni dell’anno, abitata dai pochi che hanno deciso di rimanere a coltivare la terra, gli ulivi e le vigne; circondata da un mare sempre più povero di pesce, solcato da sparuti traghetti che portano in terraferma dal dentista, a scuola, ad approvvigionarsi e che riversano sull’Isola curiose figure in fuga dalla frenesia delle città. L’Isola è un modo di vivere dentro al quale Senko Karuza ci conduce assieme alla comunità degli isolani – il “noi” narrante –, è un viaggio dentro la natura mediterranea, negli odori della macchia e del mare, dentro la vita dei pescatori e il lavoro dei contadini, al riparo dalle gelide raffiche di bora e con il profumo della torta marmorizzata della zia Anka di cui nessun altro conosce la ricetta... L’Isola è Vis, Lissa, ed è tutte le isole dell’Adriatico e del Mediterraneo, accomunate dal medesimo destino: essere un universo a sé, un equilibrio di privazioni e piaceri della tavola, ritmi di vita lenti e pensiero profondo.
La storia di una parte d’Europa complessa, stratificata, eppure al centro di tutto. Sentimentale perché non è un trattato, ma una narrazione soggettiva, intima, di che cosa sono e che cosa rappresentano i Balcani. Breve perché non vuole essere esaustiva ma regalare al lettore suggestioni, immaginari e passioni. Floramo parte per un viaggio che esplora in profondità le geografie, le anime, la Storia attraversando il confine orientale per addentrarsi nella terra balcanica che sconfina verso gli Urali, segue il Danubio, parla le lingue di Sarajevo. Interroga le fonti più antiche, narra le vicende dei Turchi, dei Veneziani, degli Uscocchi, giunge fino ai giorni nostri dove insegue le utopie, osserva i ponti, piange con le donne di Srebrenica. Come spesso accade nelle storie di Floramo e in quelle che riguardano i Balcani, il lettore si trova a mangiare, ridere, disperarsi, sognare, bere, fumare, danzare. Insomma, vivere.
Un reportage narrativo sulla città più raccontata e chiacchierata al mondo: dal momentaneo buio di un distacco di retina, Antonella Cilento entra nelle ombre di una città dove tanto il sole quanto il mare sono apparenze esterne. Napoli, attraversata dal centro alle periferie e lungo i suoi innumerevoli strati temporali, riappare da parole di scrittrici e scrittori, da Felix Hartlaub a Fabrizia Ramondino, da E.T.A. Hoffmann a Eduardo De Filippo, da Giuseppe Montesano ad Anna Maria Ortese e molti altri. Mappe, decumani, specchi, giardini pensili, pavimenti, maghe, picari e madonne ricompongono un puzzle vivente di una creatura, forse femmina, molto antica, sfuggente e notturna: è fatta di carta, è solo immaginaria? Con gli occhi chiusi o al sole, da lontano e da vicino, Napoli sorprende e cattura, qualche volta inganna.
Padraic Colum, pluripremiato scrittore irlandese nei cui racconti per bambini risuona sempre la voce dei cantastorie, tesse una narrazione di molto tempo fa, quando il Figlio del Re d’Irlanda partì alla ricerca dell’Incantatore delle Terre Nere Remote. Là incontrò la figlia dell’Incantatore, Fedelma, e se ne innamorò perdutamente. I due giovani decisero di sposarsi, ma Fedelma fu rapita dal mostruoso Re della Terra di Bruma. Le avventure per ritrovarla porteranno il Principe Irlandese nella Terra di Bruma, nella Città del Castello Rosso e nei mondi di Gilly dalla Pelle di Capra, delle Streghe dai Lunghi Denti, della Principessa Fiamma-di-Vino e del Gigante Crom Duv. Colum reinterpreta una storia del folclore irlandese seguendo i ritmi del racconto orale che si fa, a suo modo, romanzo cavalleresco. Con quest’opera precede il grande Tolkien e La storia infinita di Michael Ende, scrivendo un fantasy prima che il genere fosse inventato. Il viaggio infinito del Principe Irlandese torna in libreria dopo due edizioni con Santi Quaranta.