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Dieci anni di viaggi tra Bulgaria, Romania, Albania ed ex Jugoslavia sulle tracce di vicende e di episodi poco conosciuti che hanno fatto la storia – non solo calcistica – di queste terre. Dal Marakana di Belgrado alle utopie di cemento degli spomenik jugoslavi, dal Maksimir di Zagabria alle sponde del lago di Ocrida, senza generalizzazioni né stereotipi, calandosi fra la gente, entrando nei bar, lungo le strade, sui gradoni di tanti stadi in giro per i Balcani. Un viaggio dall’Adriatico al Mar Nero, lungo il Danubio e la Drina, tra vecchi amici e burberi tifosi, birre e cori, ćevapi e rakija, per provare a decifrare i Balcani attraverso la lente d’ingrandimento del calcio.
Jugobasket nasce da anni di viaggi e incontri con le leggende della pallacanestro jugoslava. Le voci dei protagonisti che hanno scritto un pezzo di storia dello sport europeo e mondiale sono il cuore del libro. Da Boša Tanjević a Praja Dalipagić, da Žele Obradović a Toni Kukoč, Saša Danilović e molti altri, si dipana una narrazione che ha inizio con la ricostruzione del paese dopo la Seconda guerra mondiale e che termina con la dissoluzione dell’utopia politica e sociale voluta dal maresciallo Tito. Attraverso un periodo di quarant’anni i giocatori jugoslavi passano dall’essere semiprofessionisti a diventare icone sportive globali, compagni e avversari di autentici miti come Michael Jordan e Magic Johnson.
Il cuore di questo viaggio è l’incontro con uomini e donne di mare, seguendo le tracce della Serenissima sparse ovunque e con la malinconia che solo l’orizzonte ti può regalare. Ci sono baie solitarie, soste in osterie, marinai di poche parole. E poi ci sono i luoghi: Venezia, gli Arsenali, Parenzo, Pola, il Quarnaro, Lussino, Ragusa, le Bocche di Cattaro, Corfù, posti carichi di storia, di bellezza, di colori e sapori forti. E ancora, i popoli, quelli che evocano immaginari mai sopiti come i morlacchi, i turchi, gli slavi e una terra, quella dei Balcani, appena uscita da una delle grandi tragedie del Novecento. Un reportage da un mare che guarda a Est, ma che a specchio racconta chi siamo stati, la nostra origine, il senso profondo di un’Europa fatta di genti diverse.
Terra troppo affollata d’estate e semideserta nelle altre stagioni dell’anno, abitata dai pochi che hanno deciso di rimanere a coltivare la terra, gli ulivi e le vigne; circondata da un mare sempre più povero di pesce, solcato da sparuti traghetti che portano in terraferma dal dentista, a scuola, ad approvvigionarsi e che riversano sull’Isola curiose figure in fuga dalla frenesia delle città. L’Isola è un modo di vivere dentro al quale Senko Karuza ci conduce assieme alla comunità degli isolani – il “noi” narrante –, è un viaggio dentro la natura mediterranea, negli odori della macchia e del mare, dentro la vita dei pescatori e il lavoro dei contadini, al riparo dalle gelide raffiche di bora e con il profumo della torta marmorizzata della zia Anka di cui nessun altro conosce la ricetta... L’Isola è Vis, Lissa, ed è tutte le isole dell’Adriatico e del Mediterraneo, accomunate dal medesimo destino: essere un universo a sé, un equilibrio di privazioni e piaceri della tavola, ritmi di vita lenti e pensiero profondo.
La storia di una parte d’Europa complessa, stratificata, eppure al centro di tutto. Sentimentale perché non è un trattato, ma una narrazione soggettiva, intima, di che cosa sono e che cosa rappresentano i Balcani. Breve perché non vuole essere esaustiva ma regalare al lettore suggestioni, immaginari e passioni. Floramo parte per un viaggio che esplora in profondità le geografie, le anime, la Storia attraversando il confine orientale per addentrarsi nella terra balcanica che sconfina verso gli Urali, segue il Danubio, parla le lingue di Sarajevo. Interroga le fonti più antiche, narra le vicende dei Turchi, dei Veneziani, degli Uscocchi, giunge fino ai giorni nostri dove insegue le utopie, osserva i ponti, piange con le donne di Srebrenica. Come spesso accade nelle storie di Floramo e in quelle che riguardano i Balcani, il lettore si trova a mangiare, ridere, disperarsi, sognare, bere, fumare, danzare. Insomma, vivere.
Un reportage narrativo sulla città più raccontata e chiacchierata al mondo: dal momentaneo buio di un distacco di retina, Antonella Cilento entra nelle ombre di una città dove tanto il sole quanto il mare sono apparenze esterne. Napoli, attraversata dal centro alle periferie e lungo i suoi innumerevoli strati temporali, riappare da parole di scrittrici e scrittori, da Felix Hartlaub a Fabrizia Ramondino, da E.T.A. Hoffmann a Eduardo De Filippo, da Giuseppe Montesano ad Anna Maria Ortese e molti altri. Mappe, decumani, specchi, giardini pensili, pavimenti, maghe, picari e madonne ricompongono un puzzle vivente di una creatura, forse femmina, molto antica, sfuggente e notturna: è fatta di carta, è solo immaginaria? Con gli occhi chiusi o al sole, da lontano e da vicino, Napoli sorprende e cattura, qualche volta inganna.
1971: nasce una televisione di confine che da lì in avanti farà la storia del giornalismo. Siamo a Capodistria, a pochi chilometri da Trieste, ma dentro la Federazione Jugoslava. Sono gli anni di Tito e della cortina di ferro. Telecapodistria inizia a trasmettere con mezzi di fortuna i più grandi eventi sportivi a livello mondiale. Lo fa in lingua italiana e il segnale raggiunge tutto il Nord Italia e gran parte delle regioni adriatiche: l’Italia scopre Sergio Tavčar, un giornalista diretto, privo di filtri, che racconta il basket (e tutti gli altri sport) in modo unico. Un libro ironico che narra i primi anni Settanta per poi arrivare all’era berlusconiana: sono gli anni di Dan Peterson, Guido Meda, di una generazione di giornalisti che ritroviamo ancora oggi. Sullo sfondo di questa storia, un confine, un paese poco prima della disgregazione, un mondo altro eppure a noi vicino. Dai grandi nomi del giornalismo sportivo al racconto delle trasferte alle Olimpiadi o ai Mondiali: una serie di storie e aneddoti dove si ride, ci si stupisce e si riscopre una memoria sportiva collettiva.
Includes entries for maps and atlases.