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With the Treaty of Versailles, the Western nation-state powers introduced into the East Central European region the principle of national self-determination. This principle was buttressed by frustrated native elites who regarded the establishment of their respective nation-states as a welcome opportunity for their own affirmation. They desired sovereignty but were prevented from accomplishing it by their multiple dispossession. National elites started to blame each other for this humiliating condition. The successor states were dispossessed of power, territories, and glory. The new nation-states were frustrated by their devastating condition. The dispersed Jews were left without the imperial protection. This embarrassing state gave rise to collective (historical) and individual (fictional) narratives of dispossession. This volume investigates their intended and unintended interaction. Contributors are: Davor Beganović, Vladimir Biti, Zrinka Božić-Blanuša, Marko Juvan, Bernarda Katušić, Nataša Kovačević, Petr Kučera, Aleksandar Mijatović, Guido Snel, and Stijn Vervaet.
V knjigi so zbrane raznolike zgodbe iz jugoslovanske industrijske, vsakodnevne, mitske, popkulturne preteklosti in dediščine. A vendarle, te zgodbe, ki rastejo iz socialistične preteklosti, so zgodbe reči, ki imajo pomembno mesto tukaj in sedaj. Avtorji s pomočjo junakov in junakinj svojih esejev premišljujejo o dramatičnih in pomembnih spremembah, o preoblikovanjih vsakdanjih, kulturnih, političnih, ekonomskih in afektivnih svetovih na območju nekdanje Jugoslavije. Prvi natis je dobil nagrado za najbolje oblikovano knjigo na 32. Slovenskem knjižnem sejmu (2016) v kategoriji znanstvene in stvarne literature (Tanja Radež).
«Вратарь, / Не суйся за штрафную! / Поэт, / в политику не лезь!», писал Евгений Евтушенко в 1989 году в стихотворении «Лев Яшин», прочитанном на стадионе «Динамо» перед 60 000 зрителей перед началом матча в честь легендарного вратаря. Отсылкой к этому стихотворению книга отдает дань памяти знаменитому герою не только советского, но и мирового футбола и указывает на значение футбола, выхо...
Fu per amore che Nathan Stramer ritornò da New York in Polonia. A inizio secolo il paese non brulicava certo di novità, ma in una cittadina a pochi chilometri da Cracovia ci si poteva inventare qualcosa. Una famiglia, sei figli da crescere e una locanda che sarebbe presto diventata un colossale fallimento. Tra lavoretti, manifestazioni operaie e sindacati rossi, gli Stramer vivono, si innamorano, soffrono, ridono quando possono, piangono quando devono, lottano, sognano. Un romanzo che come pochi racconta la vita allegra, a volte grottesca e tragica, di una famiglia di ebrei polacchi prima di andare incontro alla Shoah.
Inseguendo se stesso e una vena creativa da tempo perduta, il pittore Filip Latinovicz fa ritorno dopo oltre vent'anni nei luoghi della sua infanzia, dove lo attendono una madre spregiudicata che molti anni prima lo ha cacciato e il fantasma di un padre senza volto e senza nome. Scritto nel 1932, "Il ritorno di Filip Latinovicz" è senza dubbio il capolavoro di Krleza. Tratteggiando una società in piena disgregazione e l'inquieta solitudine del protagonista, il romanzo, lirico e visionario, stilisticamente audace, appartiene a pieno titolo alle grandi opere letterarie del secolo scorso.
Un periodo denso di cambiamenti rivoluzionari, un audace progetto di sviluppo economico e sociale, una località idilliaca incastonata tra prati e montagne. Sembrerebbe il preludio a un fortunato sodalizio; invece, le competizioni e gli interessi in gioco faranno emergere la realtà di un paesino di affaristi e intrallazzatori, ostili con gli stranieri e restii ad accettare novità. Lo zoccolo duro del paese si oppone con ogni mezzo alle pretese avanzate dai forestieri, agli occhi dei locali interessati unicamente al profitto e al buon nome delle loro società, a maggior ragione quando la comunità viene sconvolta da un’improvvisa ondata di violenza. Un romanzo storico dalle tinte gialle che racconta di una piccola comunità dentro a una terra di confine. Una storia che indaga i rapporti tra centro e periferia, tra pianura e montagna, tra l’utopia del progresso e il desiderio di difendere un territorio.
Jan è un bambino come tanti, che va a scuola negli anni Ottanta. La sua prima bicicletta, il primo amore, i teppisti ai cancelli della scuola, i primi episodi di Guerre Stellari e la TV a colori. L’unica cosa che lo distingue dagli altri bambini è una straordinaria immaginazione. Viene chiamato a prestare il servizio militare poco prima della disgregazione della Jugoslavia, in un momento in cui tutto diventa fragile e le certezze diventano meno salde. Quando il Paese crolla, crolla anche la porta della sua cameretta, il luogo dell’infanzia e della fantasia. Il giorno in cui finì l’estate è un romanzo di formazione ed è probabilmente il primo romanzo sloveno che, attraverso una narrazione personale, descrive il periodo in cui la Slovenia era in procinto di ottenere l’indipendenza.
Il racconto dei nove turbolenti giorni del ministro della cultura del Montenegro, Valentino Kovačević, durante i quali l’uomo lotta contro l’ondata di eventi politici e sociali che lo sommerge dopo l’accidentale uccisione di un’artista durante una performance. Un vortice che mette in discussione tutto il mondo che ruota attorno al ministro, che mina la sua carriera e che coinvolge gli aspetti intimi e familiari della sua vita. "Il ministro" è di fatto un ritratto psichedelico e decadente della società contemporanea, della politica e dell’instabile equilibrio fra uomo e potere.
È il racconto di una Milano che accoglie e trasforma, che sfida e affossa, che dona anche la forza di ricominciare sempre tutto da capo. Ma è anche un racconto di storie, di film, di libri, di donne, di uomini, di esseri umani. Di Camilla Cederna, Mariangela Melato, Giorgio Gaber, Alda Merini, Dino Buzzati. Di angoli segreti, di chiese nascoste. Di serenità ricercate e raggiunte quando ci si mette in ascolto. "Non è una guida, non è uno sfogo personale, non è una raccolta di biografie. Questo libro mi piacerebbe fosse un territorio di incontro. Tra te lettore e i luoghi che attraversiamo. Per costruire un nuovo alfabeto, delle nuove parole e provare a inventarsi nuovi significati. Per non perdersi. Per ricordarci che siamo cittadini, abitanti, esseri umani".
“È così che è andata. Sul tavolo del soggiorno ho disteso una mappa e su di essa ho cercato i luoghi, evidenziato i nomi. Ovunque ho sparso cerchi e crocette, perché è così che funziona da me, basta rivoltare una zolla perché sbuchi una leggenda. Poi ho provato a unire i cerchi e le crocette e non è stato facile, quasi un gioco da Settimana Enigmistica. Troppe linee, troppe deviazioni. Però ecco, è questa la mia Toscana: un’esagerazione di posti che ancora hanno di che raccontarci, non meno di nonna Regina. Anche senza un camino, piuttosto grazie a un cammino. Basta mettersi in viaggio. Basta saper ascoltare: perché in Toscana capita che parli anche un sasso”. Questo viaggio...